Home Cultura e Eventi Cultura Le “Figlie di Sherazade” al Teatro Pietro Aretino

Le “Figlie di Sherazade” al Teatro Pietro Aretino

0

In occasione delle celebrazioni per la festa internazionale della donna, il Comune di Arezzo, assessorato alle pari opportunità, in collaborazione con l’assessorato alla cultura e la presidenza del Consiglio Comunale, con il contributo di Comitato Imprenditoria Femminile, Camera di Commercio, CNA, Socialnet, Confartigianato Donna Impresa, Confesercenti e Confcommercio, organizza lo spettacolo “Figlie di Sherazade. Raccontare per salvarsi la vita”. Appuntamento al Teatro Pietro Aretino sabato 7 marzo a partire dalle 21 con ingresso libero.
Lo spettacolo scritto, diretto e interpretato da Chiara Casarico e Tiziana Scrocca con la partecipazione di Rosie Wiederkehr (cantante degli Agricantus) e Ruth Bieri (compositrice svizzera) è stato finalista al “Premio Ustica” per il teatro di impegno civile 2007 e al Festival Internazionale di Teatro PAN 2007 – Lugano ricevendo infine il Premio Radio Rai “Microfono di Cristallo” 2007.

Figlie di Sherazade
Scritto, diretto e interpretato da Chiara Casarico e Tiziana Scrocca
con la straordinaria partecipazione di Rosie Wiederkehr (cantante degli Agricantus) e Ruth Bieri

Musica originale Ruth Bieri, Rosie Wiederkher
Scenografia e Foto Franca D’Angelo
Sculture Nato Frascà

Finalista al Premio Ustica per il Teatro 2007
Finalista al Festival internazionale di Lugano
Premio Microfono di Cristallo RadioRai

Figlie di Sherazade è la storia vera di due giovani donne che raccontano affinché altre donne possano un giorno vivere in condizioni migliori. Il progetto nasce dal bisogno di capire e raccontare, al di là di giudizi e pregiudizi, situazioni di disagio dovute alla diversità di genere nel mondo.
Due donne si raccontano come in uno specchio ribaltato: una fuga e un ritorno, un dramma personale e le sofferenze di un popolo.
L’obiettivo è quello di mettere l’accento sulla condizione del genere femminile e le sue ineguaglianze in diverse parti del mondo, sui diritti negati delle donne, e allo stesso tempo rivelare l’importanza dei percorsi di solidarietà e la presa di coscienza da parte di tutte e tutti.
Aysha è una ragazza nata in Germania da genitori turchi. Vive a Berlino, dove studia, lavora e si innamora di un ragazzo tedesco. Purtroppo i genitori hanno già deciso di darla in sposa al cugino, come è nella tradizione del loro paese d’origine. Ma Aysha vive i conflitti tipici dei figli di immigrati: non si riconosce nella cultura dei genitori e non può sottostare alle loro regole. Inoltre, una quotidianità fatta di soprusi e violenze la porta a scegliere la fuga. Dopo un periodo vissuto come un animale braccato, Aysha approda ad un centro di accoglienza per donne maltrattate e grazie al confronto con le altre donne rielabora il proprio vissuto e scopre il potere curativo della parola e l’importanza di testimoniare la propria esperienza.
Zoya è una ragazza afgana rifugiata in Pakistan. I suoi genitori, attivisti politici, sono stati uccisi dai fondamentalisti quando lei era piccola. La morte dei genitori e l’inasprirsi del fondamentalismo la costringono a fuggire in Pakistan. Della sua educazione si occupa una nonna “molto illuminata” che ha fatto di tutto per farla studiare. E così, grazie all’istruzione ricevuta in una scuola femminile clandestina, Zoya cresce nella consapevolezza di voler fare qualcosa per aiutare il proprio paese a risorgere dalla guerra e dal fondamentalismo. Tornando in Afghanistan e riprendendo l’attività clandestina dei genitori, scopre che la sua non è solo un esigenza politica ma anche una pulsione intima.
Il racconto come arma per difendersi. La voce come parola, come presa di coscienza, condivisione, testimonianza. La voce come canto, come sfogo, lamento, speranza.
Due storie esemplari, due punti di vista apparentemente divergenti che convergono in un unico desiderio: la speranza di un mondo migliore.

La Musica
L’apporto musicale e canoro della cantante Rosie Wiederkehr – del noto gruppo Agricantus – con la collaborazione di Ruth Bieri, tastierista e compositrice svizzera, nonché fondatrice della prima scuola musicale femminile in Europa (Zurigo) – diventa la sintesi emozionale delle due storie.
Le musiche sono composte appositamente per lo spettacolo.
Le scene sono sottolineate o intramezzate da un canto che rappresenta la voce dell’anima di tutte le donne schiave della loro condizione. Il canto è anche anelito di libertà, speranza, fiducia in un futuro migliore, possibilità di riscossa.

La Scenografia
La scena è costituita da luci e ombre generate dalla proiezione di immagini che Franca D’Angelo, fotografa e scenografa, ha raccolto nei suoi percorsi di ricerca e di vita.
Proiezioni visive incise, impresse sui personaggi e da loro stessi emanati, quale esperienza indelebile che il corpo secerne. Così, nel vuoto di uno spazio astratto, buio, denso di negazioni, omissioni, amputazioni, censure, si distinguono a tratti dimensioni segrete d’anima, che emergono e si dissolvono in un crescendo di rimandi: dal suono al corpo, dalla voce al luogo interiore, che qui diviene campo, scena, vibrazione che satura e scioglie fino alla liberazione ultima, catartica della voce di dentro che trova varco per manifestarsi in tutta la sua pienezza.

Sculture
La Gabbia Cubica è una scultura che Nato Frascà ha realizzato nel 1964-65 ed esposta anche alla X Quadriennale Nazionale d'Arte di Roma, essa è emblematica del percorso di ricerca, svolto dall'artista, attorno alla rottura della staticità del cubo e il suo superamento nella forma vuota, dinamica attraverso l'obliquità e la diagonale. Abbiamo avuto l'occasione di inserirli come unici elementi di scena sui quali le attrici si siedono per raccontare la loro storia.