ROMA – Un cittadino italiano e' stato condotto in carcere questa mattina a Juba, citta' del Sud Sudan. Ne da' notizia ad AKI-ADNKRONOS INTERNATIONAL la famiglia dell'uomo, Pier Albino Previdi, consulente tecnico 64enne di Marradi, in provincia di Firenze. Secondo le fonti, Previdi e' stato condotto in una prigione della citta' intorno alle 12 ora italiana. La vicenda in realta' ha avuto inizio il 19 febbraio, quando l'uomo e' stato arrestato una prima volta. La Farnesina ha confermato la vicenda di Previdi e ha spiegato di essere da giorni in contatto, tramite l'ambasciata italiana in Sudan, con le autorita' locali e con la famiglia del tecnico, nonche' con l'ambasciata sudanese a Roma.
Il provvedimento delle autorita' sudanesi e' scattato in seguito alla denuncia di un'azienda locale, che ha lamentato mancati pagamenti da parte della societa' italiana per cui Previdi lavora come consulente, la Cec International SpA (Gruppo Gitto). In seguito al primo arresto, Previdi ha trascorso una notte e un giorno in carcere. Successivamente, grazie all'intervento dell'ambasciata italiana, l'uomo e' stato scarcerato, ma messo sotto sorveglianza e privato del passaporto. Per quattro notti, inoltre, Previdi e' stato rinchiuso nella cella di una stazione di polizia di Juba. Questa mattina un nuovo sviluppo, con il trasferimento in carcere.
Dalla Farnesina hanno spiegato che la vicenda sarebbe legata ad alcuni assegni – la cui copertura e' contestata da parte sudanese – con cui la Cec, che gestisce a Juba una commessa per alcuni grandi progetti infrastrutturali, avrebbe pagato l'azienda locale da cui e' partita l'accusa. "Mio padre e' solo un consulente tecnico, non ha e non ha mai avuto alcun potere di firma o alcuna delega in materia di pagamenti – ha spiegato ad AKI-ADNKRONOS INTERNATIONAL il figlio di Previdi, Tommaso – Ma se i pagamenti non saranno effettuati, la denuncia non verra' ritirata e mio padre non potra' lasciare il paese, ma anzi rimarra' in carcere, con tutti i disagi di un carcere sudanese".
Secondo Tommaso Previdi, quindi, il consulente italiano e' tenuto "in ostaggio" in Sudan per garantire i pagamenti della Cec e le autorita' sudanesi hanno agito contro di lui solo perche' ultimo collaboratore dell'azienda a essere rimasto nel paese. La preoccupazione della famiglia e' anche legata alle condizioni di salute dell'uomo, che alcuni anni fa ha avuto gravi problemi cardiaci.