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‘Sabur Racconti d’amore e di massacro’ di Alda Radaelli

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‘Sabur Racconti d’amore e di massacro’ di Alda Radaelli

GROSSETO – Vivere con la popolazione assediata, sotto le bombe e con la fame: è quanto Alda Radaelli, giornalista capace di suscitare grandi simpatie e antipatie, senza vie di mezzo, ha fatto a Sarajevo tra il 1992 e il 1995.

Il risultato di questa esperienza dura e provante è Sabur, un affresco impedibile di una guerra sporca che ancora oggi condiziona gli equilibri europei e la vita di qualche milione di persone. Perché Sarajevo è un caso emblematico che incombe come una spada di Damocle su tutti noi europei.

“In una città che ha perso 10.000 abitanti fatti a brandelli dalle granate, in cui ogni uomo ha vissuto un’esperienza di trincea tra le peggiori, che dovrebbe averlo reso duro e insensibile, per quel poliziotto sparare un colpo di pistola a un cane randagio morente è come sparare a sangue freddo a una persona che ti chiede aiuto… Quel cane non appartiene a nessuno ma nessuno si sente di abbandonarlo. Questo è il mistero di Sarajevo” (dalla prefazione della scrittrice Maria Pace Ottieri).

“Saluto Alda, ricordando una frase del mio amico Izet Sarajlić, conosciuto a Sarajevo, durante l’assedio. Quel giorno aveva ricevuto a Roma il premio Moravia e avevamo fatto tardi, rimanendo a bere qualche bicchiere in più, seduti a tavola. Con lui e Sinan Gudzević, camminavamo verso l’albergo, vicino piazza Navona. Non mi sembrava possibile essere lì con loro, eppure parlavamo da vecchi amici. Salutandolo gli dissi qualcosa di banale. ‘Nel bene e nel male, questa esperienza mi ha cambiato la vita. È stata una fortuna averti incontrato, Izet’. Rispose: ‘Sì, Mario, ma pensa bene. Sarebbe meglio se non ci fossimo incontrati e la nostra vita rimaneva com’era’. E mi abbracciò” (dalla postfazione del fotoreporter Mario Boccia).

L’autrice:
Alda Radaelli si occupa di giornalismo e fotoreportage sul tema dei diritti umani. Ha una lunga dimestichezza con la ex Jugoslavia e l’Albania, da dove nel 1965 ha pubblicato i primi reportage per Il Giorno. Ha vissuto dentro la città di Sarajevo dal 1993 al 1997, nel corso e dopo la fine dell’aggressione alla Bosnia.