AREZZO – Rispondendo ad un’interrogazione presentata in consiglio provinciale, il Presidente della Provincia Vincenzo Ceccarelli ha chiarito la posizione dell’ente in merito all’indagine della Guardia di Finanza denominata ‘Demetra’ sui contributi ai giovani agricoltori. "Nella giornata del 15 maggio – ha esordito Ceccarelli – sono state divulgate dalle agenzie di stampa alcune notizie, diffuse in una conferenza stampa tenutasi a Firenze in base alle quali, a seguito dell’operazione ‘Demetra’, 59 funzionari pubblici di province e comunità montane toscane sarebbero stati deferiti alla Corte dei Conti, per rispondere di un danno erariale di 60 milioni di euro, derivante dalla pretesa indebita corresponsione ad alcune migliaia di agricoltori di un contributo comunitario. La Provincia di Arezzo viene citata come coinvolta, con tre funzionari denunciati alla corte dei conti per un danno erariale di circa 6 milioni di euro. Grazie alla diffusione delle notizie così operata, l’Amministrazione provinciale e l’agricoltura toscana rischiano di aver subito un gravissimo danno di immagine: i titoli dei giornali si distinguono nell’elencare termini come truffa, contributi indebiti, premi Ue con l’inganno, mega truffa all’Europa, funzionari nei guai, e così via. Il testo degli articoli segue la stessa linea, con pochi dubbi: i funzionari degli uffici agricoltura delle province e delle comunità montane avrebbero colpevolmente omesso di verificare i requisiti dei richiedenti i contributi del premio di primo insediamento, riservato a giovani agricoltori, aprendo la via ad una corresponsione di fondi illecita. Rilevo in primo luogo quanto già dichiarato immediatamente: la Provincia non era a conoscenza né dell’intenzione della Guardia di Finanza e della Procura della Corte dei Conti di effettuare conferenze stampa sull’argomento, quanto mai delicato, né che le indagini, di cui aveva notizia per aver fornito in passato ampia documentazione su richiesta della guardia di Finanza, avessero condotto tali organi al convincimento che esistesse un tale diffuso livello di irregolarità in pressoché tutti gli enti locali della Toscana. La Provincia ribadisce la propria stima e fiducia nella professionalità e nell’operato della Guardia di Finanza, così come spera che certamente la Procura della Corte dei Conti saprà liberare da ogni dubbio l’attività dell’amministrazione provinciale. Dispiace peraltro che mai sia stato posto a questa amministrazione un quesito completo sull’intera vicenda, sul quale gli organi competenti dell’ente avrebbero potuto esprimersi compiutamente, spiegando dettagliatamente il perché sono stati adottati gli atti, e sulla base di quali norme, ricostruendo fatti ed atti amministrativi, tutti pubblici e ben noti, che hanno una loro logica giuridica. Dispiace inoltre che gli additati al pubblico come funzionari negligenti, e forse complici della maxi truffa, non sappiano con certezza di essere indagati: poiché a nessuno di essi è ancora giunta notizia formale di esserlo, nei modi di legge, con le garanzie e le tutele della legge, che non sono le conferenze stampa. Dalla sola fonte delle dichiarazioni rilasciate dalla Finanza ai giornali, e quindi con il beneficio di eventuali imprecisioni, è possibile individuare l’argomento che regge l’azione inquisitoria. La Giunta regionale toscana, con delibera 666 del 20.6.2000, approvò criteri e requisiti per l’accesso agli aiuti di insediamento dei giovani agricoltori. Con tale atto veniva approvato un piano di finanziamento, da 20.000 a 25.000 euro massimi per agricoltore, definiti i criteri ed i requisiti di accesso, approvata la modulistica per presentare domanda, approvata la scheda ricognitiva degli adempimenti istruttori del procedimento. Il tutto, come bando stralcio, o pre-bando, in attesa e nelle more della approvazione da parte della Ue del piano di sviluppo rurale per consentire l’accesso al premio di primo insediamento dei giovani agricoltori, e non perdere le risorse finanziarie già disponibili. L’esecuzione del bando era affidata agli enti delegati, province e comunità montane, che dovevano raccogliere le domande, effettuare l’istruttoria, formulare le graduatorie e trasmetterle alla Regione, che avrebbe provveduto ad erogare il finanziamento. Il punto nodale della questione è quello dei requisiti dei richiedenti: semplificando, si può dire che la regione fissò nel bando la definizione di giovane imprenditore, cioè un soggetto con più di 18 e meno di 40 anni, con titolo di studio adeguato, con titolo di godimento di una azienda agricola, con volume minimo di lavoro, con sufficiente capacità professionale, con parametri di reddito agricolo, con redditività aziendale parametrata, che non ha avuto altri benefici, che si impegna ad esercitare l’attività per almeno 4 anni. La regolamentazione è precisa e minuziosa, così come la documentazione tecnica da fornire e presentare. Il piano di sviluppo rurale venne approvato dalla UE il 7.9.2000. Con provvedimento 7275 del 18/12/2000 venne aperto un nuovo bando, ed approvata la procedura per la presentazione delle domande, criteri e requisiti per l’accesso agli aiuti di insediamento dei giovani agricoltori. In tale atto, la sostanziale differenza dei requisiti era solo la definizione di primo insediamento, come iscrizione per la prima volta alla partita Iva di produttore agricolo e alla Camera di Commercio come impresa agricola, entro un anno dalla data della domanda e prima dell’insediamento dell’azienda o in azienda. In altre parole, a parità di tutti gli altri requisiti, nel primo bando era considerato giovane imprenditore chi avesse più di 18 e meno di 40 anni, indipendentemente dal fatto se avesse o no iniziato l’attività, nel secondo bando era considerato giovane imprenditore chi avesse meno di 40 anni e con iscrizione per la prima volta alla partita Iva di produttore agricolo e alla Camera di Commercio come impresa agricola al massimo entro un anno dalla data della domanda e prima dell’insediamento dell’azienda o in azienda. Si tratta di due situazioni diverse: l’una relativa ad un bando approvato prima della entrata in vigore del piano di sviluppo rurale, l’altra dopo. Ebbene, secondo la Finanza, a quello che è dato di capire, la norma del secondo bando avrebbe dovuto applicarsi retroattivamente anche al primo. Le istruttorie dei bandi sono state effettuate con attenzione e precisione dalla Provincia, e verificate dalla Regione. Nel caso del primo bando, l’ufficio agricoltura della Provincia richiese un parere alla Regione proprio su questo aspetto, segnalando la presenza di domande di aiuto di soggetti che risultavano già titolari di azienda agricola alla data della domanda, e richiamando l’attenzione sulle differenze di requisiti con il secondo bando. La Regione confermò per iscritto la applicazione della delibera 666, confermando che essa non faceva riferimento a limiti di tempo entro i quali doveva avvenire l’insediamento. Oggi, a distanza di 6 anni, apprendiamo dai giornali che le province avrebbero dovuto escludere tali richiedenti, che erano in regola con i requisiti del bando, e che il non averli esclusi, comporta il reato di omissione da parte dei funzionari istruttori, danno erariale e truffa. E’ evidente che le province e le comunità montane hanno eseguito quanto stabilito dalla Regione in bandi e regolamenti regionali, e non potevano fare altrimenti, a mio avviso, né modificarli né disapplicarli. Va detto però che questa linea, se è questa, degli inquirenti, non trova molto riscontro neanche in una parte della magistratura. Infatti, nel 2004 la Guardia di Finanza di Arezzo, denunciava alla Procura della Repubblica per truffa quattro agricoltori aretini che avevano ottenuto il premio di primo insediamento sulla base della delibera regionale 666, pur essendo già in attività agricola alla data della domanda. Ebbene, il Pubblico Ministero, riscontrata la regolarità della domanda, dei requisiti posseduti, dell’istruttoria provinciale rispetto alle prescrizioni di
quel bando, chiese l’archiviazione degli atti del procedimento penale, archiviazione che fu disposta dal Giudice delle indagini preliminari con motivazione che condivideva in pieno le argomentazioni del P.M. Non si vede come dunque la Provincia, dopo aver ricevuto così autorevole conferma della regolarità della propria azione amministrativa da parte del magistrato che esercita per conto della Repubblica Italiana l’azione penale, possa essere chiamata in causa per le stesse motivazioni che il giudice penale ha dichiarato infondate, se ovviamente sono le stesse. In attesa che le cose siano chiarite, e che sia restituita all’Amministrazione Provinciale piena dignità e prestigio, desidero esprimere infine piena fiducia nei dipendenti provinciali che saranno coinvolti, a quanto pare, in questo spiacevole episodio. Concludo auspicando che per il futuro, all’operazione Demetra, nome classico scelto per questa operazione, possa seguire il soffio risanatore di una operazione Persefone, auspicio di una nuova primavera per l’agricoltura toscana, che confermi e restituisca dignità agli enti pubblici toscani, immeritatamente denigrati", ha concluso il Presidente della Provincia.