Roma, 9 mar. (Labitalia) – Delle linee guida per il governo e lo sviluppo del settore della pesca, il ‘libro blu’ della pesca e dell’acquacoltura. Per assicurare alle filiere ittiche nazionali lavoro e reddito, per ridare nuovo slancio competitivo al settore, stare al passo con il mercato e attrarre giovani, garantendo così un futuro al comparto. Queste le proposte alla politica e alle istituzioni presentate dall’Alleanza delle Cooperative Italiane della Pesca (Agci Agrital, Federcoopesca-Confcooperative, Legacoop Agroalimentare Dipartimento pesca) con le associazioni dell’acquacoltura Api (Associazione Piscicoltori) e Ama (Associazione mediterranea acquacoltori), nel corso degli ‘Stati generali della pesca e dell’acquacoltura’ a Roma.
Proposte che partono dal tema ‘sanzioni’. Le imprese di pesca e acquacoltura dicono “sì al rispetto delle regole, no ai salassi previsti dalla legge 154”. “Il nostro obiettivo -spiegano- è quello di ridefinire quanto previsto dalle legge 154 del 2016, che inasprisce il sistema sanzionatorio, con multe fino a 150 mila euro. È importante contrastare ogni illecito, ma occorre un maggiore equilibrio”.
E i pescatori lanciano anche l’allarme su tonno rosso e pesce spada, produzioni di punta del made in Italy, messe a rischio, attaccano, dal sistema a quote. “La recente introduzione di un sistema di pesca con quote per il pesce spada -spiegano le associazioni di settore- impone la convocazione di un tavolo di confronto in vista della ripartizione tra paesi Ue delle 10.500 tonnellate destinate nel complesso al Mediterraneo. L’Italia detiene il 50% della produzione mediterranee di spada, con circa 5000 tonnellate pescate ogni anno, per un valore che sfiora i 40 milioni di euro. Dobbiamo salvaguardare imprese e lavoratori di questa filiera attraverso la concessione di un adeguato numero di quote”.
“Sul tonno -spiegano ancora le organizzazioni- va riconsiderata la disciplina delle catture accessorie o accidentali per venire incontro alle richieste della pesca artigianale e evitare così pesanti balzelli legati alle nuove sanzioni”. E non mancano le richieste sulle tutele per i lavoratori. E’ necessario, spiegano le organizzazioni, “dotare il settore, e i suoi oltre 25 mila pescatori imbarcati, dell’istituto della cassa integrazione ordinaria, alla stregua di quello previsto per il comparto agricolo”.
E la pesca, spiegano le organizzazioni di categoria, “cambia anche grazie alla tecnologia”: “I pescherecci sono sempre più sicuri con dotazioni e sistemi di controllo all’avanguardia. Non è possibile che le norme che ne regolano l’operatività in acqua siano le stesse del 1968. Per una pesca 4.0, occorre modificarle. E’ necessario -aggiungono- estendere l’operatività delle navi da pesca, fermo restando la tutela della salute e della sicurezza della vita umana in mare, come avviene per le imbarcazioni battenti bandiere diverse da quella italiana che operano in condizioni di maggior favore rispetto alle nostre”.
E i pescatori dicono no alle norme calate dall’alto, e chiedono il ritorno alla concertazione. Si deve “ripristinare la Commissione consultiva centrale della Pesca marittima e dell’Acquacoltura, quale indispensabile organismo di confronto e consultazione per la categoria – avvertono – e poi serve semplificare, per essere più competitivi”. “Una impresa media del settore -spiegano le associazioni- perde circa l’equivalente di due mesi di lavoro all’anno per assolvere agli adempimenti burocratici”.
“Occorre cambiare passo: è necessaria -aggiungono- la semplificazione delle pratiche amministrative e la diminuzione dei costi burocratici che gravano pesantemente sulla redditività delle imprese ittiche: dalle procedure autorizzative per le licenze di pesca e nulla osta, agli adempimenti per la tracciabilità del prodotto dal mare alla banchina”.
E ancora sui Fondi Feamp pesa il principio di ‘condizionalità’, spiegano le imprese, che “è un sistema, introdotto dall’Unione europea, che impedisce non solo l’accesso al sostegno finanziario previsto dal Feamp per infrazioni già commesse ma che può costringere il beneficiario a restituire quanto già percepito se nei successivi cinque anni, rispetto al momento della concessione del sostegno finanziario, viene commessa un’altra infrazione”.
Infine, sul ‘Testo unificato in materia di pesca e acquacoltura’, fermo ai blocchi di partenza, si deve “ridefinire la disciplina sulle concessioni e canoni demaniali, così come sta avvenendo già per quelle rilasciate per finalità turistico-ricreativo”. “Cancellazione della norma contenuta nella legge 7 agosto 2012, n. 134, il ‘Cresci Italia’, che ha introdotto una nuova autorizzazione per l’esercizio di impianti di acquacoltura in mare posti ad una distanza superiore ad un chilometro dalla costa”, concludono.