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La ricerca, nel 2030 over 55 un lavoratore su 4

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Milano, 8 giu. (Labitalia) – Nel 2030 un lavoratore su 4 avrà più di 55 anni. E’ questa la fotografia scattata dalla ricerca realizzata dall’agenzia per il lavoro Umana e presentata oggi, a Milano, in occasione dell’incontro ‘Age management, conoscere la propria azienda per farla crescere’.
“Nei prossimi 15 anni -si legge nella ricerca- la fascia d’età 55-64 anni (oggi pari al 15% della forza lavoro complessiva) sarà inesorabilmente destinata a crescere: nel 2030 un lavoratore su quattro (26%) sarà over 55 anni, traghettando l’Italia ai valori più alti d’Europa, insieme solo alla Spagna”.
“Solo affrontando oggi -ha spiegato Maria Raffaella Caprioglio, presidente di Umana- la questione dell’età nelle aziende ci consentirà di adottare fin da subito quegli strumenti per governare l’impatto generazionale, il trasferimento delle competenze, l’obsolescenza dei saperi nelle imprese”.
“Ma è necessario capovolgere -ha aggiunto- la prospettiva di analisi: l’invecchiamento è un problema, e un costo, solo se lo si subisce. ‘Age management’ non vuol dire solamente gestione delle età, ma gestione delle persone nelle diverse fasi della loro vita lavorativa siano esse giovani o anziane, da quando entrano in azienda a quando sono prossimi all’uscita. E’ necessario possedere una visione dinamica della gestione delle risorse umane che parta da una reale conoscenza della composizione della propria azienda”.
Dai dati della ricerca Umana, è emerso che l’Italia è uno dei paesi con maggiore longevità e chi nasce oggi vivrà in media oltre i cento anni. Ma è l’analisi sull’invecchiamento della popolazione in età attiva che preoccupa le aziende italiane e che rappresenta il record negativo europeo.
“Nei prossimi anni -ha spiegato Alessandro Rosina, docente di Demografia alla Cattolica di Milano- è destinata ad aumentare in modo inedito e consistente la partecipazione lavorativa della popolazione adulta più matura, come conseguenza sia dell’invecchiamento demografico che dell’innalzamento dell’età pensionabile. Questo è ancora più vero nel nostro paese essendo tali due fattori più accentuati rispetto al resto d’Europa. Se però a questo epocale cambiamento non corrisponderà anche un miglioramento della capacità delle aziende di mantenere elevate motivazioni, competenze e produttività in tutte le fasi della carriera lavorativa il rischio è quello di uno scadimento sia delle condizioni dei lavoratori sia di efficienza e competitività del sistema produttivo”.
Per Giovanni Boniolo, dicente di Filosofia della Scienza presso il dipartimento di scienza della Salute Università di Milano, “prendere in considerazione le diverse età nell’impresa, agire di conseguenza attraverso azioni rivolte all’age management, vuol dire affrontare concretamente un processo etico e al tempo stesso economico”.
“E perché un’azienda -si è chiesto- dovrebbe costruire un percorso di questo tipo, perché dovrebbe comportarsi bene rispetto questi temi? Perché conviene. Perché questi sono temi sensibili e ricevono una risposta da parte del mercato. Comportarsi bene paga, anche in termini economici. Stiamo passando dall’etica del profitto al profitto dell’etica”.
“Il problema della sostenibilità del nostro sistema di welfare va rovesciato: come abbiamo visto anche oggi, i numeri ci dicono -ha aggiunto Pierangelo Albini, direttore dell’area Lavoro e Welfare Confindustria- che il modello odierno di welfare non potrà più sostenersi e soprattutto il suo peso non potrà gravare in capo a chi produce”.
“E’ necessario -ha chiarito- passare da un sistema che si fonda sulle politiche passive a un altro, che si fonda sulle politiche attive. Le aziende più avvedute già oggi gestiscono la fase dell’invecchiamento non come un percorso obbligato verso la pensione, ma attraverso modelli innovativi. Bisogna costruire un nuovo modello e dobbiamo avere nuovi strumenti per farlo”.
“L’Italia -ha detto Annamaria Ponzellini, sociologa del Lavoro- sul tema delle politiche di active ageing, arriva in ritardo, dalla fine degli anni Novanta qualche paese europeo già interveniva su questo problema”.
“L’age management -ha spiegato- è legato direttamente alla produttività di un’azienda, proprio in un momento in cui le aziende vivono un pesante deficit in questo senso. In passato si è intervenuti attraverso il turnover ma oggi, guardando gli indici demografici, non potrebbe più funzionare. In Italia l’investimento sugli over 55 è scarsissimo, ma proprio in questa fase i lavoratori sono poco motivati in produttività e competitività dell’azienda”.