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Grecia, agenzie di rating sotto accusa: pagelle guidano il mercato

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Grecia, agenzie di rating sotto accusa: pagelle guidano il mercato

ROMA – I loro sono giudizi pesanti, raramente accolti con soddisfazione. Anzi, piu' spesso sono scomodi e con gravi implicazioni. Mai come oggi i voti assegnati dalle agenzie di rating dettano il corso dell'economia internazionale. Non a caso, secondo indiscrezioni delle scorse settimane, l'Unione Europea – attraverso la Banca Centrale di Francoforte – punterebbe a spezzare il monopolio delle 'tre sorelle', Moody's, Fitch e Standard & Poor's, con un proprio sistema di valutazione della solidita' finanziaria dei paesi della zona euro. In attesa di questa nuovo organismo, che dovrebbe prima dare prova della stessa indipendenza vantata dalle agenzie storiche, a dettare legge su governi, banche e aziende restano loro, le tre 'grandi' nate agli inizi del Novecento negli Stati Uniti (a livello internazionale le agenzie principali sono una dozzina, ma Moody's, S&P e Fitch controllano circa il 96 % del mercato). Il loro giudizio vale come una sentenza, eppure c'e' chi ne mette in dubbio efficacia e imparzialita'. Che sono a volte strettamente collegate.
In effetti, a giudicare dagli errori di valutazione anche del recente passato, qualche dubbio appare legittimo. Le agenzie devono infatti valutare l'entita' del rischio di credito, diviso in due principali categorie: il rischio commerciale ed il rischio paese. Il voto e' espresso sulla capacita' del debitore di far fronte al rimborso del proprio debito finanziario e viene espresso con una scala alfabetica.
La scala non e' univoca: per i debiti a lungo termine Moody's e S&P vanno da Aaa a D (dove ad esempio A e' un giudizio peggiore di Aaa e Cc migliore di C); per quelli a breve Fitch aggiunge un secondo sistema, inverso, da F1+ (migliore) a D (peggiore). In tutti i sistemi, comunque, esiste una soglia (nel caso di S&P) e' il rating BBB-, al di sotto del quale si parla di titoli 'spazzatura' (Junk bonds). Investire in aziende o paesi con questo rating e' possibile, ma a proprio rischio e soprattutto a titolo speculativo. Tuttavia un giudizio critico su un'economia – basato solo sulla valutazione di asset materiali, dopo una visita sul posto che a volte si limita a pochi giorni – puo' bloccare lo sviluppo di un paese emergente, aumentandone i costi di approvvigionamento sul mercato.
A complicare le cose, il fatto che se all'inizio le agenzie offrivano, a pagamento, ai detentori di titoli di credito i loro giudizi sul comportamento dei debitori, oggi le societa' di rating non sono pagate dagli investitori ma dai committenti che vogliano emettere un'obbligazione o attingere a qualsiasi altra forma di credito. Senza il 'voto' delle agenzie e' praticamente impossibile raccogliere denaro sul mercato. Ma il fatto che il loro giudizio sia pagato dai giudicati, espone le agenzie, anche dando per scontata la loro correttezza, a un conflitto di interessi.
Un pesante atto di accusa sugli errori delle agenzie di rating e' stato lanciato nel nostro paese da Adusbef che, prima della crisi greca, analizzando oltre 1000 report ha evidenziato "risultati sballati al 91 per cento, efficaci al 9 per cento". Gli investitori, d'altronde, hanno pagato a caro prezzo errori di valutazione come nel caso dei fallimenti clamorosi, da quelli di Enron e Worldcom (negli Usa) a quello di Parmalat (in Italia). I critici accusano le agenzie di eccessiva compiacenza soprattutto nel caso delle grandi holding. Nonostante i problemi di Enron fossero noti da mesi, il suo rating scese a livello spazzatura solo quattro giorni prima del fallimento.
Altra accusa, la ripetitivita' e la banalita' delle motivazioni delle ''pagelle'': i tagli nelle spese di bilancio non sono sufficienti e la ''riforma delle pensioni'' va troppo a rilento. Sono giudizi, ripetuti in questi anni ad ogni latitudine, che oggi si ritrovano anche nelle analisi dei paesi piu' esposti al contagio della crisi greca (e non solo).
Come se non bastasse, il conto 'reale' da pagare per questi giudizi e' pesante, quasi quanto le loro ripercussioni (Adusbef ha stimato il costo dell'ultimo declassamento del debito italiano in circa 3,3 miliardi di euro). Secondo stime non ufficiali, per ogni rating annuale sul debito sovrano di un paese i governi pagano milioni di dollari, cui si aggiungono le commissioni per i giudizi emessi sulle offerte di obbligazioni, che vanno da poche decine a diverse centinaia di migliaia di dollari. Di sicuro, nonostante la crisi finanziaria, i bilanci delle agenzie di rating sono piuttosto floridi, con tutto vantaggio dei grandi investitori che le controllano.
Eppure, nonostante le critiche, non c'e' governo che non preferisca sottoporsi al 'ricatto' dei rating delle agenzie piuttosto che battere cassa al Fondo Monetario Internazionale. Come ricordava il 'Washington Post' per i governi e' meglio prendere in prestito denaro sul mercato che alzare le tasse o tagliare la spesa pubblica, come sono soliti chiedere al Fmi. Una illusione che la Grecia sta pagando a caro prezzo.

Articlolo scritto da: Adnkronos