Bucine – Il corpo umano nella storia e nella storia dell’arte ha ricoperto molti ruoli: contenitore dell’anima, immagine di Dio, unità di misura, canone di bellezza, manichino, espressione fissata su una tela, movimento registrato da una telecamera, superficie da modificare con la body art.
Il corpo umano è la prima cosa che si impara a disegnare da bambini, è il punto di partenza che dà origine a tutto e questa esposizione -ancora una volta- parte dall’interpretazione del corpo per fare arte.
Quattro artisti per un corpo (4 x 1), con quattro differenti chiavi di lettura, “concepiscono” la figura umana come punto di partenza e punto d’arrivo, come inizio e fine fra ciò che il corpo è e quello che diventa.
Così la figura umana racchiusa in un bozzolo di Gianni Barelli richiama alla mente il sacco uterino che accoglie il corpo mentre si forma, la crisalide conserva la farfalla fino alla sua mutazione ultima, un’incubatrice naturale che vive nel dualismo perla/ostrica: per una gemma preziosa serve uno scrigno adeguato.
Le immagini di Elena Vargiolu ci ricordano come le immagini sono state cristallizzate più e più volte dalla macchina fotografica, i corpi umani come grotteschi manichini indossano vestiti alla moda e, come i manichini, diventano tutti uguali facendoci dimenticare che ogni corpo è un organismo a sé e non ce ne sarà mai uno identico ad un altro.
L’elaborato vestito di plastica riciclata di Sauro Montecchi invece ci dice che il vestito è la maschera nella quale il corpo si avvolge, una maschera effimera perché è possibile guardarci attraverso, una maschera riciclata come la plastica che compone quest’opera, infatti la plastica cambia continuamente volto ma non la sostanza che la compone, perché si può rifondere e diventare altro. Infatti i vestiti nei secoli sono passati da semplice copertura del corpo ad espressione di uno stile, però la funzione del vestito è sempre la stessa indipendentemente dalla moda che si limita a “riciclare” ciò che c’è già.
Però il corpo non ha solo un aspetto esterno, il corpo vive dall’interno, ha una fornace fatta di organi e sangue che l’alimentano e raramente viene svelata. Questo compito è spettato a Elena Palazzini che, con le sue ecografie, ci ricorda che l’esterno esiste grazie ad un interno funzionante e la bellezza è anche la somma di ciò che non si vede.