ROMA – Dalle speculazioni in Borsa ai riscatti per le navi sequestrate nel Golfo di Aden, ai proventi del narcotraffico generato dall'oppio afghano. L'economia del terrorismo non conosce crisi, mentre le difficoltà nei Paesi occidentali, con le conseguenti riduzioni dei budget delle varie agenzie impegnate nella sicurezza, possono aprire falle in grado di offrire all'internazionale del terrore nuove opportunità di business.
Non solo. Là dove non arrivano i tagli finanziari, possono arrivare i cavilli giudiziari e il "calo di attenzione" dovuto alla distanza temporale che ormai ci separa dall'11 settembre. Come denunciato dal ?Washington Post? recentemente, citando fonti di intelligence Usa ed europee, "il sistema globale di 'liste nere' dei finanziatori di Al Qaeda e di altre organizzazioni terroristiche è a rischio di collasso, minato da controversie legali e da un diminuito sostegno in molti Paesi".
All?interno dell?ambiente dell?intelligence si continua poi a discutere sull?effettiva efficacia delle ?black list?, data la capacità di Al Qaeda e di organizzazioni a essa collegate di eludere il sistema di controlli e sanzioni previsto a livello internazionale, non facendo più ricorso al sistema bancario ufficiale. Una riprova, sostengono inoltre gli scettici, della scarsa utilità delle sanzioni, è data dal fatto che i capitali sequestrati e riconducibili ad Al Qaeda sono da anni rimasti invariati, circa 85 milioni di dollari.
Il fatto che non vi siano nuovi sequestri di capitali riconducibili ad Al Qaeda ovviamente non significa che le organizzazioni terroristiche non usino più il denaro per finanziare le loro attività. Semplicemente, ricorrono a forme più difficilmente quindi difficilmente controllabili, per il trasferimento di risorse, come ad esempio il sistema dell??Havala?, sempre più in uso negli ultimi anni. Questo metodo ?informale? di trasferimento di denaro, antico di secoli, generalmente usato per piccole somme, si basa sulla fiducia e su una rete non ufficiale di agenti, in grado di raggiungere una capitale occidentale, come il più remoto villaggio delle montagne al confine tra Pakistan e Afghanistan.
A partire dalla comparsa sulla scena internazionale del 'marchio' Al Qaeda, nel mirino degli investigatori di mezzo mondo, sebbene con risultati non sempre efficaci, non ci sono però solamente i trasferimenti di denaro da una ?centrale? a una ?cellula?, ma anche le speculazioni vere e proprie che possono essere realizzate grazie agli effetti che, ad esempio, un attentato terroristico o una situazione di tensione o instabilità in una determinata regione del mondo possono avere sui mercati finanziari.
Del resto, che si "possano fare i soldi col terrorismo", si era capito all'indomani degli attentati dell'11 settembre. Fonti finanziarie di Dubai, citate da Bernard Henry-Levy nel suo libro-inchiesta, "Chi ha ucciso Daniel Pearl", raccontarono di speculazioni effettuate tra l'8 e il 10 settembre 2001, da operatori legati a Bin Laden, su titoli del Dow Jones, grazie alla tecnica dello "shortaggio" su azioni della United Airlines e dell'American Airlines.
I titoli oggetto di speculazione, grazie alla tecnica finanziaria messa a punto dalle banche americane e britanniche, ma adottata anche da quelle di Dubai, furono ?affittati? su commissione al loro prezzo pieno, con l'impegno, previsto da quella particolare forma di transazione, ad essere definitivamente acquistati al valore di mercato in un determinato momento. Chi acquistò i titoli, li rivendette immediatamente al prezzo pieno poco prima degli attentati dell'11 settembre. Poi, all'indomani degli attacchi, con le Borse, e quei particolari titoli, a picco, li acquistò definitivamente dalle banche, a prezzo crollato, speculando sulla differenza.
L'assunto, mai dimostrato, è che chi operò le transazioni finanziarie sapesse in anticipo cosa sarebbe successo a New York e sui cieli di Washington la mattina dell'11 settembre 2001. Fu lo stesso Bin Laden, in un'intervista comparsa il 28 settembre 2001 su 'Ummat', uno dei quotidiani in urdu di Karachi, la capitale economica del Pakistan, a spiegare che "Al Qaeda è piena di giovani moderni e istruiti che conoscono le falle del sistema finanziario occidentale e che sanno come sfruttarle".
Altra fonte preziosissima di introiti illeciti per la galassia legata ad Al Qaeda è quella relativa all?esportazione dell?oppio afghano. Nel ?Rapporto 2008 sull?Oppio Afghano? dell?Unodc, l?Agenzia Onu per la lotta alla droga e al crimine, guidata dall?italiano Antonio Maria Costa, si stimava che lo scorso anno gli introiti dei trafficanti per le esportazioni di oppio, morfina ed eroina ammontavano a 3,4 miliardi di dollari. Una percentuale consistente dei proventi dell'oppio va direttamente a finanziare le attività di guerriglia talebane, che hanno come scopo anche quello di contendere alle truppe Usa e Nato il controllo di vaste porzioni del territorio, destinate proprio alla coltivazione del papavero da oppio.
Ultimo segnale d'allarme, in ordine di tempo, quello lanciato qualche settimana fa da un'emittente radiofonica spagnola che, citando un rapporto di intelligence, parlava di una "centrale di spionaggio" nella City londinese, con il compito di segnalare alle organizzazioni dei pirati somali che agiscono nel Golfo di Aden, le rotte, le tappe e i carichi delle navi in transito. I pirati, i cui legami con Al Qaeda e con i fondamentalisti islamici somali di Al-Shabaab ("La Gioventù") sono nel mirino delle agenzie di intelligence occidentali, a cominciare da quelle americane, si muoverebbero così a colpo sicuro.
Una possibilità, questa, che viene negata a gran voce nella City, già minata nella propria credibilità dai tracolli bancari e finanziari dovuti alla crisi economica globale. Eppure, fonti finanziarie legate alla piazza londinese, interpellate dall'ADNKRONOS, non escludono quanto già ipotizzato dagli investigatori, vale a dire la presenza di "talpe", legate a cellule di Al Qaeda, nei luoghi di transito e carico delle navi nel Golfo di Aden.
Una possibilità invece data per certa dal parlamentare somalo Muhammad al Amin al Hadi, che in un?intervista al Middle East Media Research Institute, accusa: ?A Dubai, nello Yemen, in Gran Bretagna, in Kenya e in molti altri Paese, ci sono persone che lavorano con compagnie che hanno a che vedere con porti, aeroporti e con l?industria dei trasporti in genere, che chiamano i pirati e li informano che una certa nave ha lasciato un certo porto in una certa zona in un determinato momento?.
Articlolo scritto da: Adnkronos