Home Attualità Economia ‘Streetfood’: per il cibo di strada è lotta con la burocrazia

‘Streetfood’: per il cibo di strada è lotta con la burocrazia

0

Nel corso degli anni l’Italia ha raggiunto un alto livello di qualità in riferimento a prodotti, modalità di somministrazione e igiene dei locali e delle maestranze a differenza di città europee come Parigi, Bruxelles, Londra o mondiali come Pechino, Hong Kong, New York, Chicago, Los Angeles – solo per fare alcuni esempi – dove tutto è permesso.

In Italia chi cucina per strada deve sottostare a leggi ferree. Solo per fermarsi con furgone ristorante è necessario il pagamento del suolo pubblico ai comuni; per aprire l’esercizio servono una sfilza di corsi e relativi esami, procedure di controllo e l’obbligo di “portarsi l’ufficio dietro” con licenza commerciale, iscrizione camera di commercio, elenco dipendenti e tante altre pratiche burocratiche. Basta dimenticarsi un passaggio o essere sprovvisti dei requisiti necessari per rimangiarsi i pochi spiccioli guadagnati o rischiare di chiudere causa sanzioni.

Se da un lato la severità e lo zelo hanno migliorato le condizioni di vita in senso generale, dall’altro hanno permesso che colossi della ristorazione rapida riuscissero ad adeguarsi diffondendo in tutto il mondo il proprio marchio accompagnato da prodotti come hamburger in mille forme, ricalcando lo stile di vita e i cliché gastronomici che trovavano di paese in paese; prodotti questi che non sono certo identificativi di un territorio e per di più cucinati con ingredienti poco genuini e di ignota provenienza. Il tutto trova posto tuttavia in ambienti asettici. Poi il marketing assieme a una vincente campagna di comunicazione fa il resto: si abbinano quei prodotti a gadgets retaggio dei più piccoli per coinvolgere tutta la famiglia in feste all’interno dei fast food.

«L’Associazione vuol fare chiarezza, informare l’opinione pubblica – sostiene il Presidente dell’Associazione, Massimiliano Ricciarini – sulle difficoltà che incontra un operatore di strada nel procedere con la sua attività». Con il tempo inoltre l’immaginario collettivo si è fatto un’idea sbagliata di chi prepara, vende e somministra cibo per strada. Spesso il costume moderno preferisce un panino di una multinazionale qualsiasi piuttosto che un prodotto di strada, specialmente se fatto con interiora o altre parti meno nobili, ma sicure e genuine.

«In questi primi sei mesi di attività dell’Associazione siamo usciti dall’anonimato e abbiamo realizzato vari eventi tra cui uno in collaborazione con Fiat – prosegue Ricciarini – pur incontrando difficoltà; nell’attesa di guadagnare la fiducia di quegli operatori di strada, che a differenza di un ristorante pluridecorato e inflazionato da stelle, bicchieri e tastevin, ti permette di “mangiare il territorio” nel senso più vero, vogliamo procedere a piccoli passi, facendo ricerca, pubblicando libri che chiariscano le idee, che richiamino sempre più l’attenzione così da essere più forti e vincenti.»

Intanto presso la Scuola di Economia del Turismo di Assisi (PG) e L’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (CN) due studenti hanno deciso di incentrare l’argomento di tesi sui cibi di strada. «Ci vorrà del tempo – conclude Ricciarini – ma, come le migliori ricette della tradizione sono migliori l’indomani, così Streetfood® continuerà a far parlare di sé però intanto preparerà il terreno per momenti migliori, aumenterà le sue collaborazioni e vorrà allargarsi sempre più per essere sicura di farsi sentire e portare avanti con successo la propria mission».