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Napoli da sotto in sù

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NAPOLI – Per capire Napoli bisogna capovolgerla. E’ l’originale punto di osservazione di alcuni studiosi che, con strumenti operativi e approcci interpretativi diversi, hanno studiato la città dal sottosuolo per coglierne i processi di urbanizzazione, secondo l’approccio già suggerito da David Pike che lo propose per Londra e Parigi ma mai utilizzato in Italia. L’Istituto di studi sulle società del Mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche, con il convegno ‘I sottosuoli napoletani’, organizzato presso la propria sede, ha inaugurato questo approccio ‘capovolto’, affinché “il sottosuolo acquisti la funzione di chiave interpretativa rispetto alle vicende della città emersa”, spiega Roberta Varriale dell’Issm del Cnr.
Come la rete fognaria, ad esempio, che ha molto influito sull’equilibrio geologico del sottosuolo a livello urbano e su scala regionale: “La realizzazione delle fogne è stato solo un capitolo ancorché fondamentale dell’ampio programma di revisione urbanistica della città noto come ‘il Risanamento’, iniziato dopo l’epidemia di colera del 1884”, prosegue la Varriale. “La soluzione di un sistema di fognature a doppia canalizzazione, con la divisione fra acque bianche e nere, è stata spinta dall’Amministrazione con la motivazione che le acque nere avrebbero potuto essere usate per la concimazione, quelle bianche nel campo industriale. Si sapeva però, fin da allora, che la riconversione sarebbe stata difficile da realizzare in tempi brevi. Così per ovviare alle emergenze sanitarie di Napoli, divenute una questione nazionale si decise di soprassedere alla riconversione. La conseguenza è stata che il litorale a nord di Napoli ha dovuto subire gli effetti delle scelte operate sulla città, visto che si è deciso di sversare lì tutto il materiale, compromettendo il futuro turistico di quest’area”.
Paradossalmente, l’unico piano di recupero dei materiali reflui andato a buon fine fu quello degli stabilimenti dell’Italsider di Bagnoli dove operava un impianto di riciclaggio all’interno del processo dell’acciaieria.
Ma i mali di Napoli dipendono non solo dalle scelte operate dall’uomo.“La natura tufacea, facile a scavarsi, ha fatto sì che la città fosse dotata da tempo immemorabile di una rete acquedottistica, come quella della Bolla”, spiega Giacomo Rasulo dell’Università Federico II. “Eppure a questo acquedotto e alla permeabilità del tufo si devono ascrivere le varie epidemie coleriche, che hanno afflitto la popolazione napoletana, e le cosiddette ‘febbri napoletane’ causate da una contaminazione perenne tra acque scaricate sul e nel suolo e la rete acquedottistica”.
Il sottosuolo racconta anche una storia di abusi e speculazioni iniziata dal ‘500. “In seguito al divieto di reperire materiali edili all’interno delle mura, per evitare le costruzioni in un centro storico già saturo”, commenta la Varriale, “i giacimenti di tufo sotterranei servirono a eludere la norma e continuare a edificare in città. Per arrivare poi alla ricostruzione post bellica, quando gli stessi spazi sotterranei vennero usati come sversatoi”.
Un archivio informatizzato e georeferenziato del Servizio di sicurezza geologica e sottosuolo del Comune ha censito le cavità naturali, per prevenire crolli improvvisi. “Il fenomeno riguarda soprattutto il centro storico, popolato da cisterne, antiche cave, gallerie stradali, ferrovie e cuniculi vari”, spiega Goffredo Lombardi, dirigente del Servizio. “Con tale strumento è possibile eseguire la ricerca per numero di catasto assegnato oppure per strada, ottenendo tutte le informazioni, quali planimetria, relazione tecnica, foto e filmati”.
Il sottosuolo è chiamato in causa anche per il traffico cittadino. La stratificazione storica di 2.500 anni, la presenza del tufo giallo, già a 30 metri da piano di calpestio, e di falde acquifere, rendono difficile la messa in opera di infrastrutture sotterranee per il trasporto pubblico, come la metropolitana. Questa complessa ‘architettura’ geologica rappresenta però un vantaggio per la cosiddetta ‘banda del buco’. “I 900.000 metri quadrati di vuoti sotterranei sono però una ‘risorsa’ per la criminalità. Furti e rapine hanno come protagonisti ingegnosi malviventi i quali entrano prevalentemente all’interno di banche e uffici postali passando attraverso catacombe, acquedotti, fogne, gallerie e camminamenti sotterranei”, conclude Massimo Sacco, Commissario Capo della Polizia di Stato. Alcuni componenti della banda, comunicando con l’esterno via radio, entrano nel sottosuolo e scavano a turno il cunicolo per raggiungere l’obiettivo. Studiano percorsi e tempi, trascorrendo intere notti fra tombini, cunicoli e topi. Nel giorno prestabilito ‘sbucano’ nell’edifico preso di mira, per poi sparire con il bottino nel dedalo di vie, sotto e sopra la città.