Egregio Direttore,
intervengo nel dibattito sulla rievocazione storica dei moti del “Viva Maria” che si è svolta per le vie del centro di Arezzo domenica 13 maggio, per esprimere un’opinione, come altri hanno fatto prima di me e come si usa in una città democratica e aperta com’è Arezzo.
Chi dimentica la storia è condannato a riviverla e questo destino è toccato alle persone che domenica scorsa si sono divise tra sostenitori e detrattori della manifestazione.
Non entro nel merito delle raffinate disquisizioni storiche che appassionano gli intellettuali, soprattutto quelli che amano interpretare la storia ad uso e consumo dei committenti politici e mi limito a registrare che in quella piazzetta contesa, domenica scorsa, il sentimento popolare che sta dietro a quei fatti si è riacceso per non spegnersi più tanto facilmente.
Duecento anni fa, in quegli stessi luoghi, aretini e francesi si scontravano lasciando morti e feriti sul terreno: da una parte un esercito di invasione venuto a raccogliere fondi per la Rivoluzione con l’alibi di portare la democrazia e l’illuminismo nelle selvagge terre di toscana (niente di nuovo sotto il sole); dall’altra il clero, i nobili e i contadini a difendere le radici cristiane e cattoliche di una cultura comunque consolidata da antiche e pacifiche tradizioni.
Quanto agli ebrei uccisi a Siena, abbiamo tutti una ragione che ci permette di distinguere tra l’antisemitismo come piaga dell’umanità e singole storie di violenza nate dalla esasperazione e dalla miseria.
Domenica, in piazzetta Madonna del Conforto, già del Viva Maria, dopo duecento anni, erano rappresentate drammaticamente le stesse posizioni, gli stessi sentimenti, gli stessi torti e le stesse ragioni: giù nella piazza, oggi gli eredi di quei contadini, di quei nobili, di quel clero che al suono di “Bianca Regina Fulgida” facevano rivivere in forma teatrale e musicale i sentimenti di quei personaggi; sugli spalti oggi gli eredi dei francesi invasori che al suono della marsigliese tiravano giù sulla folla radunata insulti e striscioni irriverenti.
Noi che in piazza di solito ci andiamo per discutere o fare festa, senza la pretesa di fare né la storia né i processi, ci accontentiamo di notare come il modo migliore di far rivivere i fatti in modo drammatico è tentare di cancellarli, interpretarli in modo ideologico o rimuoverne i simboli (chi non ricorda le statue del Buddha abbattute in Afghanistan dai talebani?).
Per questo, chi ha la testa dovrebbe usarla rassegnandosi alla sconfitta epocale di una cultura che è erede in linea diretta dei peggiori frutti della Rivoluzione francese; una cultura a cui, dopo avere prodotto in Europa e nel mondo immani fallimenti, non rimane più altra ragione di esistere se non quella di contrastare pervicacemente e con ogni mezzo utile la Chiesa come istituzione e con essa le stesse radici di questo nostro Paese.
Antonino Armao
Articlolo scritto da: Antonino Armao